sabato 19 novembre 2011

Luigi Gentili

Luigi Gentili, sociologo e saggista, è esperto di top management. Insegna scienze della direzione presso l'IFOSTUD e collabora con la cattedra di sociologia politica dell'Università La Sapienza di Roma. E' altresì direttore editoriale di Economy Way, periodico di economia, società e cultura. Come consulente, da diversi anni,  gestisce  per enti pubblici e privati progetti di intervento nelle aree dei  mass media, delle risorse umane e dello sviluppo socio-economico. Tra i suoi libri ricordiamo: "Elite dirigenti. I gruppi di vertice nel capitalismo olonico", "Innovare il management. L'arte di dirigere nell'era del caos" e "Il potere della leadership", editi per Armando editore e "Risorse umane: strategia e management", Edizioni CieRre e "Il lavoro per progetti nell'impresa sociale", Gruppo Gesualdi Editore.



Élite dirigenti. I gruppi di vertice nel capitalismo olonico

Un libro di Luigi Gentili per interpretare il vuoto di leadership

tratto da da Economy Way del 30/05/2011       

Stiamo entrando nel capitalismo olonico, policentrico, reticolare e decentrato. Ciò produce dei problemi inediti, legati all’ingovernabilità dei sistemi complessi. L’economia corre più in fretta rispetto ai sistemi di governance, inadeguati nell’affrontare il cambiamento. L’attuale crisi che investe l’economia globale è dovuta all’assenza di élite dirigenti.
Con questo libro Luigi Gentili tenta una lettura del “deficit organizzativo” che travolge le  odierne società post-industriali. Alle prese con una transizione di livello globale, l’economia  rischia di andare fuori controllo. Manca una direzione organizzativa d’avanguardia.
Per l’autore la ricchezza di una nazione è data dalla propria élite dirigente, la sola che può riconvertire un trend in crisi. Ma che cos’è un’élite dirigente? Come nasce e come evolve nel tempo? Quali sono le prerogative che ne garantiscono il funzionamento?
La tesi di Gentili è chiara: l’élite dirigente è formata da un team di leader, che agisce in sintonia. Attraverso il modello della “leadership dialettica”, vengono individuati quattro stili di leadership, posseduti da più persone ai vertici di un movimento o di un’organizzazione. È l’interazione tra diversi leader, con uno stile di direzione proprio ma complementare, che permette a un gruppo di vertice di co-evolvere nel proprio contesto di riferimento; questo grazie all’alternanza di due momenti fondamentali: la quotidianità e la riorganizzazione radicale. Ne viene fuori un’élite capace di produrre innovazione, orientando più persone verso nuovi traguardi.
La teoria classica delle élite ha sempre trascurato il fenomeno della leadership, che invece per l’autore sta a fondamento di un élite dirigente. Una leadership di gruppo, naturalmente, e non personalistica, dove il carisma, contrariamente a quanto riteneva Max Weber, è solo uno degli stili di leadership che producono il cambiamento. La leadership - e qui sta l’originalità del libro - nasce dall’interazione di gruppo e non dalla posizione individuale di qualcuno. La leadership è sempre collettiva, e non dipende da persone singole. Se ciò dovesse avvenire, si evidenzia piuttosto l’ombra della leadership, la sua degenerazione organizzativa. I quattro stili di leadership, tra loro interdipendenti, sono i seguenti: metodica, direttiva, carismatica e sfidante.      
Gentili descrive la rivoluzione manageriale che, tra la fine dell’ottocento e gli inizi del novecento, ha segnato la nascita della moderna corporation. Gli effetti di questo mutamento sono l’emergere della tecnocrazia, che prende il posto dell’imprenditore e il potere dei trust, che sostituiscono le piccole e medie imprese nel controllo dell’economia. Questo segna la nascita della società manageriale, per utilizzare un termine coniato da James Burnham. I gruppi dirigenti sono formati dai manager posti all’interno di grandi burocrazie. Il capitalismo però evolve, ed oggi si assiste ad una “terza ondata”: dopo il capitalismo concorrenziale dei primordi, e dopo quello successivo dei trust, emerge il capitalismo delle reti oloniche. Questo nuovo sistema produce una terza rivoluzione manageriale, con dei gruppi dirigenti che si muovono sempre velocemente e con disinvoltura tra i network dell’economia globale.
Il capitalismo tradizionale, che nasce dall’incontro tra imprenditorialità e management, sembra perdere la sua spinta innovativa, privato di quella che Schumpeter chiama la “distruzione creativa”.  Tutto si appiattisce al livello culturale, ma la storia non finisce. Per Gentili, la storia oggi si muove attraverso lo scontro di capitalismi diversi, dove rimane la spinta del profitto ma vengono meno altre prerogative, che ne hanno segnato la nascita: la libertà di mercato e la proprietà privata dei mezzi di produzione. Adam Smith e Karl Marx vanno quindi aggiornati. Nel capitalismo olonico avviene un salto di paradigma: le vecchie categorie interpretative perdono la loro validità oggettiva. 
Il capitalismo dei nuovi paesi emergenti, quali la Cina, l’India, il Brasile e la Russia, ha molto di differente rispetto alla Manchester ai tempi di Engels o con alla Detroit ai tempi di Ford. Oggi si parla sempre più di instabilità e di mutevolezza, ma anche di molecolarizzazione e di segmentazione. Le imprese stesse diventano degli iperluoghi, ovvero delle realtà a interattività diffusa. 
Le nuove “reti” dell’economia globale sono costituite da aree geografiche, città e imprese, interdipendenti ma anche in competizione. La nascita di nuovi gruppi dirigenti, nomadi e volatili, quelli che Jacques Attali chiama iperclassi, sembrano muoversi nella stessa direzione: il disinteresse per gli affari pubblici. Il futuro però non è già segnato: tutto dipenderà dalle scelte che le nuove élite dirigenti sapranno attuare. In tal senso, le preferenze dell’autore vanno per le adhocrazie e per le aree-sistema, i nuovi centri nevralgici dell’organizzazione post-moderna.